Quando finisce una guerra si contano vittime e feriti e anche quest’anno il numero di caduti è impressionante, ancora di più se si pensa che non parliamo di un conflitto ma di una pratica ormai anacronistica e alla quale quasi l’80 per cento degli italiani è contrario: la caccia.
“Sta per chiudersi ufficialmente la stagione venatoria e anche quest’anno ci si ritrova a fare i conti con il solito bollettino di guerra; se analizzassimo i dati delle vittime causate da quest’assurda pratica potremmo tranquillamente alludere alla guerra “.
Sono le amare parole di Emilio Mauro Merola , responsabile L.I.D.A. e L.A.C. di Avellino che ogni anno , dopo la stagione venatoria fa i conti sui danni provocati dalla caccia.
“Ogni qualvolta una guerra finisce, si contano i caduti e feriti; anche quest’anno il numero delle vittime è stato inquietante, secondo i dati dell’“Associazione Vittime della Caccia”,
UNO E’ TROPPO, 80 E’ UNA STRAGE
si legge cosi‘ sul sito dell’associazione e poi ancora :
“DOSSIER VITTIME della CACCIA 2016 – 2017″
O si vuole ridimensionare anche quest’anno il numero di vittime delle doppiette, con la chirurgica cancellazione, anzi, facendo finta che non esistano neppure, i civili impallinati e tutte le tragedie che gli appassionati di caccia causano non solo durante le loro battute?
Non parliamo del dramma della Siria o della Striscia di Gaza, ma di una carneficina tutta nostrana.
Chi ha occhi per leggere, lo faccia.
Chi ha cuore per capire, capisca, perché é venuto il momento di fare il punto sulle responsabilità di questa strage oramai ordinaria.
Ci repelle contare le vittime ogni anno, stagione dopo stagione, come fosse prassi sistematica attribuire numeri alla vita e alla sofferenza, umana e non. Eppure non siamo noi a produrre tutto questo, ma chi spara, ovviamente, e quando certi scandalizzati alzano la voce pretendendo umanità…. beh, basterebbe uno specchio o una lettura oggettiva:
21 i civili su 80 vittime totali, tra morti e feriti per armi da caccia in 5 mesi,
12 i morti e 68 i feriti, in ambito venatorio ed extravenatorio..
Incalcolabili sono anche le infrazioni che vengono commesse durante e oltre la stagione venatoria; tra i reati più frequenti da chi imbraccia un fucile, abbiamo l’abbattimento di fauna protetta, l’utilizzo di mezzi vietati come richiami o tagliole, il mancato rispetto delle distanze previste dalla legge per cacciare vicino alle abitazioni, strade o luoghi di lavoro . Diverse situazioni provano altri tipi di reati, assolutamente da non sottovalutare.
“Va ricordato che la stessa attività della caccia fa aumentare il numero delle specie comuni. Diversi studi testimoniano infatti che la fertilità dei cinghiali è notevolmente più alta quando la caccia è intensa.
Entrando più nel dettaglio, si può affermare che tanto più la caccia è intensa, tanto prima la maturità sessuale dell’animale viene raggiunta precocemente, a meno di un anno di eta’.
Altro fattore che provoca la proliferazione smoderata della specie è invece ricollegabile alla delicata struttura sociale della specie cinghiale. Una femmina di cinghiale dominante, che va in estro una volta all’anno, guida il gruppo. Il cosiddetto sincronismo di estro fa sì che le altre femmine del gruppo siano feconde contemporaneamente. Inoltre essa trattiene i giovani ed impedisce in tal modo maggiori danni alle coltivazioni.
Se la femmina dominante viene uccisa, il gruppo si disperde, gli animali senza guida irrompono nei campi, tutte le femmine diventano feconde più volte nell’anno e si riproducono in modo incontrollato.
Una cifra inquietante che statisticamente riappare con l’ inizio dell’ attività venatoria è quella che riguarda l’ abbandono dei cani da caccia.
Si stima che circa il trenta per cento degli abbandoni avvengono nel periodo della stagione venatoria, vittime di questo ignobile atto i cani ritenuti non più abili; per combattere questo problema (ma non solo)vige da molti anni la legge 281, che impone di iscrivere l’ animale all’anagrafe canina e di dotarlo di microchip, legge esistente ma purtroppo quasi mai applicata.
Oltretutto, va ricordato che tutto ciò contribuisce anche ad incrementare il business dei cosiddetti “canili-lager” dove vi è un lucroso giro di affari.
Per ogni animale accalappiato e chiuso in un canile ,un comune affronta la spesa , di circa mille euro all’’anno. Nella gran parte dei casi questo flusso di denaro non evita che i cani siano malati, malnutriti, stipati in gabbie sovraffollate e alla fine destinati a morte.
Inoltre nonostante il mal tempo, le temperature bassissime la caccia , nell’anno in corso ,non è mai stata sospesa come dice la legge numero 157 del 1992, che tutela la fauna selvatica e disciplina le attività di caccia, prevede il divieto di “cacciare su terreni in tutto o parte coperti da neve”. Le Regioni possono e devono modificare i calendari venatori proprio in previsione di una maggiore tutela degli animali selvatici che sono un patrimonio indisponibile dello Stato da tutelare nell’interesse della comunità nazionale e internazionale.
Non possiamo assistere – continua Emilio Mauro Merola – a questo massacro, in quanto, è stato provato da studi scientifici che, in inverno e ancor più in periodi così particolari, gli animali selvatici sono estremamente deboli e, dovendo spendere le poche energie residue per nutrirsi, difficilmente riescono a trovare anche la forza per fuggire dai cacciatori. Le basse temperature, le notti fredde, le poche ore di luce, i terreni gelati o ricoperti di neve, sono fattori di grande criticità per tutte le specie, che incontrano gravi difficoltà nello spostarsi, reperire cibo e riparo, quindi i cacciatori/bracconieri ne approfittano, in quanto la fauna è in difficoltà e per loro è molto facile predarla”.
Fin qui la nota della L.I.D.A nelle parole del responsabile Emilio Mauro Merola da sempre impegnato in campagne nella difesa degli animali.